venerdì 22 aprile 2011

Tiziano Terzani Clic! - 30 anni d'Asia. La mostra

Nella settimana che anticipa le festività del periodo pasquale, che quest'anno comprende la giornata simbolica della liberazione nazionale del 25 aprile, quanti messaggi e quanti tesori trovo in questa mostra.

Tiziano Terzani è a Roma. A pochi passi da Largo della Fontanella di Borghese, dove, da quando ne ho memeoria, campeggiano quei magnifici chioschi con le loro antiche rarità: stampe, cartoline e libri d'epoca. Immagini e oggetti d'altri tempi.
La mostra è a Palazzo Incontro, in via dei Prefetti, 22. In una struttura recuperata e restituita alla cittadinanza, in onore alla cultura.
Al pianterreno un'ampia libreria con annesso caffè letterario, dove poter rigenerare corpo e spirito in una fuga di relax (Palazzo Incontro).

Tiziano Terzani, un reporter completo. Giornalista e fotografo, inviato nei diversi teatri di guerra, mentre il quotidiano si fa storia. Tuttavia, anche un uomo con le sue curiosità, ma vieppiù con la consapevolezza della fragilità dell'essere e dell'effimero terreno. Spesso nella guerra, ma sicuramente un corrispondente di pace.
La mostra non ne rappresenta solo gli scatti: i suoi pensieri sono a corredo dei primi (che di seguito cito testualmente in corsivo), anche se è riduttivo ricondurli nel loro insieme a un semplice corollario. Sono piuttosto un motivo di riflessione contestualizzato.
Ha viaggiato molto per lavoro e per arricchimento personale. Accompagnato da una donna eccezionale e di spessore. Compreso da una complice eccezionale: sua moglie. Anche nei suoi ultimi giorni, mentre il filo della vita si assottigliava. Compassionevole egli dice di lei nell'intervista, ovvero "con" la stessa passione. Una famiglia con cui ha saputo condividere e che ha voluto condividere.

In una (piccola) sala della mostra viene proiettato in loop il filmato della sua ultima intervista. In un'altra vengono mostrate a schermo in serie le sue foto. Verso la fine del percorso espositivo, in mezzo a una sala, un tavolo con alcuni suoi oggetti personali. Tante curiosità attraverso le quali poter esplorare una personalità poliedrica.


Quindi la mostra. Si sale al primo piano e si è subito immersi nelle foto dei primi anni settanta.

1972: in Vietnam per capire la rivoluzione.
1975. Il Vietnam era loro e ne avevano ogni diritto.

Nella prima sala: l'ingresso dei vietcong a Saigon.
Tante armi, tanti bambini. Ora la felicità. Non più la disperazione. Qui, come in molte altre, Terzani è presente nelle sue stesse foto. Non è facile capire chi è il reporter. Sé stesso o altri? O piuttosto la voglia di far parte della scena raccontata. Essere negli eventi non per raccontare, ma per raccontare vivendo. Le prime foto predispongono al meglio l'umore, ma voltandomi trovo alle spalle immagini di alcune pellicole (negativi al positivo). Tante piccole riprese. Tante atrocità lasciate piccole nel tentativo di ridurre al minimo l'orrore.


1980: la Cina!
Il più grande esperimento di ingegneria sociale che l'umanità avesse mai tentato: la ricerca di una società più giusta e più umana.
Mi fu subito chiaro che la realtà era meno affascinante dei sogni. (...)

E nelle foto il risultato insperato, direi gli effetti collaterali della Rivoluzione Culturale: "le città della Cina sono tutte uguali".

Nel marzo del 1984, dopo più di quattro anni, fui arrestato. Alla fine, accusato di un crimine che non avevo commesso, fui espulso.
(...)
Il mio crimine è stato l'aver cercato una via d'uscita dal labirinto di proibizioni e tabù che avrebbero dovuto tenermi lontano dalla gente.



1985. Giappone. Il moderno rende tutto piatto.


Nelle foto tanti visi, tutti livellati dalla monotonia: maschere senza sorriso. Il moderno avanza, ma rende tutto uguale a sé stesso. Uomini e donne spersonalizzati assumono l'inespressività dell'alienazione e della omologazione.



Tibet: chi ci arriva resta vittima del suo incanto.


Una destinazione rappresentata come l'occasione unica di elevazione. Come contraltare del falso progresso e del moderno che avanza.



1989. Unione sovietica. Ora che la cortina di ferro si alza, si scopre che il solo grande segreto è la miseria e lo squallore (...)



Sai c'è un periodo eroico nelle cose: la rivoluzione vietnamita all'inizio, la rivoluzione cinese. poi l'eroismo diventa quotidianità, diventa l'orrore, la fila per il pane.
Grande delusione, il socialismo. Grande, grande.


I suoi scatti ci raccontano le contraddizioni di una dittatura, che non riesce ad assicurare i sani principi dai quali ha preso le mosse. Come non apprezzarlo per la sua capacità unica di rappresentare il vero con professionalità, con equidistanza e senza schieramenti.




Mustang. La civiltà non è ancora arrivata


India. Come funziona un mondo non ancora retto esclusivamente dai criteri dell'economia?


Himalaya. La pace dell'immenso


In uno dei suoi tanti treni, in primo piano tre tazze e una teiera di fine porcellana, ma sullo sfondo, oltre il finestrino, la dura realtà dei campi.

Sempre alla ricerca del nuovo e del diverso da raccontare, al cronista succede il viaggiatore senza sosta e mai pago. Con la macchina fotografica come fedele e inseparabile compagna. L'obiettivo è l'occhio dell'artista, della sua essenza e del suo spirito. Ora i suoi scatti raffigurano immagini eterne e liberate dai vincoli del tempo. La dimensione del piccolo è in sintonia con l'immenso.



Nella sua ultima intervista (Anam il senzanome. L'ultima intervista a Tiziano Terzani), manifesta una invidiabile serenità nonostante la consapevolezza della sua malattia, che non gli darà scampo.


Con la sua lunga barba bianca e comodi vestiti, lo troviamo nella sua estrema remota residenza di Orsigna.  In questo luogo dell'appennino trasformato a eremo "himalayano", è curioso come comunque dichiari con forza la sua europeicità e la sua italianità, lui che spesso ha cercato le "verità" nelle filosofie d'oriente. Al contempo, dona gli "occhi" ad un albero nella speranza che questi gli possano assicurare nella tipicità umana la forza per sopravvivere alla crudeltà distruttiva dell'uomo.
In un rapporto di amore/disamore (non utilizzo volutamente il termine "odio") con l'America, ci ricorda che la liberazione dal nazifascismo ha visto come protagonista anche l'Unione Sovietica, con i suoi milioni di morti. Quella stessa America però (ne manifesta in un passaggio la consapevolezza) alla quale si è rivolto alla ricerca di una cura per il male.
E' voluto esserci nei noti fatti dell'11 settembre.
Le sue parole contro la guerra non potranno mai essere dimenticate. Dovrebbero costituire un patrimonio da tramandare. Un monito per tutti affinchè non ci si abitui mai ai conflitti e ai suoi morti. Noi che sempre più spesso restiamo indifferenti col telecomando in mano davanti al teleschermo, passivamente inermi al cospetto delle tante vittime raccontate dai telegiornali, amalgamate a informazioni melliflue del marketing. Eventi di guerra sempre più spettacolari, sempre più sensazionali. Che ormai ci privano di ogni emozione rispetto alla sacralità della vita; noi svuotati della facoltà di distinguere la falsità della rappresentazione e, essa stessa, dalla cruda realtà di morte. E' il frivolo che tutto fagocita.

Ma è anche prodigo di insegnamenti per il nostro microcosmo.  Per il nostro vivere del quotidiano individuale. Ci esorta a ridere. A riappropriarci del riso come filosofia di vita, anche se terminiamo la nostra giornata nell'aria condizionata di un ufficio. Con il sole della primavera che trafigge l'alluminio delle finestre.
Ridere anche di fronte a ciò che non riusciamo a conquistare. E pensare sempre alle nostre fortune, in un continuo esercizio di valorizzazione. Anche rispetto a chi non manifesta gradimento per i  nostri sentimenti di amicizia e di amore. E ci volta le spalle. Ogni chiusura e ogni rancorosa risposta è un sepolcro che ergiamo al nostro interno. Energia che blocchiamo per un nostro sorriso. Un atto di sfiducia verso il disegno di crescita del nostro percorso di vita, che progetta per noi le tante esperienze di elevazione e maturazione.
Chi non vorrà accompagnarci, non fa parte del nostro progetto. C'è un giorno, perché c'è una notte. A cui seguirà un altro giorno.



TRILUSSA


(...)

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucilli
de li popoli civilli...

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza...
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.

(...)




Le mie letture preferite dell'Autore:

  • Un indovino mi disse, Milano, Longanesi, 1995
  • Un altro giro di giostra, Milano, Longanesi, 2004
  • La fine è il mio inizio, a cura di Folco Terzani, Milano, Longanesi, marzo 2006


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