lunedì 6 agosto 2012

Fontana delle Naiadi in Piazza Esedra



Il paesaggio che quotidianamente viviamo, magari sfrecciando con i nostri motori rombanti, costituisce il riferimento culturale per eccellenza, spesso narrandoci anche racconti fantastici. La storia è il substrato imprescindibile da cui scaturiscono i valori di ispirazione consci e inconsci delle nostre azioni. Non è il marchio della nostra auto o lo squillo del telefonino hi-tech che ci dice chi siamo e quali sono le nostre origini. Non possiamo vivere un luogo senza sapere chi ha contribuito a crearlo e senza contribuire noi stessi a consegnarlo a coloro che ci succederanno.
Camminiamo forse troppo distrattamente tra le strade della città dove siamo nati e dove viviamo senza cogliere quei dettagli architettonici e artistici che ci caratterizzano e ci distinguono. Vivendo in una città come Roma si corre il serio rischio di finire per non avere nulla, perché si ha tutto. Dalla storia degli Antichi e finanche degli antichissimi, considerato che vi si conserva il maggior numero di obelischi eretti.
Questa riflessione fa il suo capolino ogni qual volta ho la possibilità di soffermarmi su un bene della nostra cultura. Le fontane ravvivano spesso le nostre piazze. Vi giriamo intorno cavalcando i nostri mezzi, traditi il più delle volte dalla routine e dalle abitudini che ci convincono che queste "opere spruzzanti" facciano parte integrante della circolazione stradale. Tutto ciò contribuisce a incrementare l'aggressione dei materiali da parte degli agenti atmosferici, come gli inquinanti di varia natura che ne annerisce la superficie.
E passandovici a piedi accarezzando la pietra, capita di vedere alghe verdi che aggrediscono il marmo. Fenomeno in buona parte causato da agenti biodeteriogeni agevolati dalle condizioni ambientali, come la calura dell'estate e dall'esposizione. Ma ciò è dovuto anche dall'incuria o, per meglio dire, alla maleducazione di chi utilizza la fontana per raffreddare le bottiglia dell'acqua e delle bibite o per fare un pediluvio. Capita a volte di vedere galleggiare nell'acqua carte e sporcizia di ogni genere. Di vedere affiorare fogliame secco e residui vegetali caduti dagli alberi che, generando un deposito melmoso, ostruisce il regolare defluire e causa un pernicioso trabocco dell'acqua.

Sono considerazioni che vengono offerte dalla consultazione, con un anno di distanza e datato 2011-08-23, di un articolo dei «Il Messaggero», in cui si illustra l'intervento di ripulitura della fontana delle Naiadi a Piazza Esedra. In quella occasione le alghe stavano risalendo fino ad interessare le Ninfe dei Laghi, dei Fiumi, delle Acque Sotterranee e degli Oceani.

E' un trattamento di degrado che non merita la fontana di Piazza della Repubblica, nell'esedra delle Terme di Diocleziano, realizzata inizialmente sulla base del progetto dell'Arch. A. Guerriri, dopo un'operazione di risistemazione dell'area.
Un intervento postumo ha permesso di realizzare le statue affidando il progetto allo scultore palermitano Mario Rutelli. Il rilascio alla cittadinanza, che avvenne nel 1901, fu anticipato da polemiche, perché si vociferava che le sculture avrebbero rappresentato figure femminili in pose audaci. Le polemiche si placarono al calare dei teloni, i quali scoprirono un lavoro meraviglioso.

Ai lati le figure rappresentano quattro ninfe acquatiche: la Naiade dei Fiumi, la Naiade degli Oceani, la Naiade dei Laghi e la Naiade delle Acque Sotterranee, ciascuna con un animale rappresentativo del rispettivo ambiente. Al centro troviamo una figura maschile che afferra un delfino, Glauco. Una storia triste la sua, perché il suo amore per Scilla, la più bella delle Naiadi, causò la furia vendicatrice di Circe. La quale, innamorata a sua volta di Glauco, la trasformò in mostro marino, pronto a distruggere, insieme a Cariddi, le navi in transito nello Stretto di Messina.




NOTE
fonti: Salvatore Spoto, Le fontane, Edizioni Coralli, Roma 2010


martedì 10 luglio 2012

La Resurrezione di Lazzaro. Caravaggio a Roma Palazzo Braschi.

Sul finire del 1607 e gli inizi del 1608, Caravaggio giunge a Malta, una città fortificata e in costante stato di guerra contro i turchi. Qui, in particolare, esegue la "Decollazione del Battista", ubicata a La Valletta presso la Cattedrale di San Giovanni. Ma, da Malta dovrà ben presto fuggire. Infatti, arrestato e assicurato alle carceri del Forte Sant'Angelo - forse perché si era venuto a conoscenza del vero motivo che lo aveva indotto a lasciare Roma (si ricorda che nel corso di una lite uccide Ranuccio Tomassoni) - Caravaggio  in seguito alla fuga riuscirà a raggiungere la Sicilia nell'ottobre del 1608.
A Siracusa dipinge la "Sepoltura di Santa Lucia", su commissione del Senato siracusano. Tuttavia, forse perché non ancora sufficientemente al sicuro rispetto alle possibilità di interventi nei suoi confronti da parte dei Cavalieri di Malta, il Merisi in seguito preferirà soggiornare a Messina.
Sarà proprio qui - come ricorda il Bellori - che l'artista realizzerà la "Resurrezione di Lazzaro", nella Chiesa de' Ministri degli'infermi. La Resurrezione di Lazzaro gli sarà commissionata dal mercante genovese Giovanni Battista de' Lazzari e il riferimento al soggetto dell'opera sembrerebbe proprio ispirato al lignaggio del committente.
Sempre per la parentesi siciliana, nell'agosto del 1609, Caravaggio sarà a Palermo.

La tela.
Dalla dominante scura, che lascia intravedere nella penombra l'ambientazione, il Cristo si distingue nettamente in primo piano sulla sinistra. La realizzazione del soggetto religioso pone in risalto la perentorietà del gesto dispositivo. La natura realizza il comando ridonando al Lazzaro la vita e nuova forza ai muscoli. Così solo il Cristo riesce a conferire conforto ai dolori dell'Umanità e dare speranze nella redenzione. Le braccia di Lazzaro, richiamano la Crocefissione.

Pannelli informativi: appunti della visita.
La consultazione dei pannelli informativi che introducono alla tela sono di sicuro interesse. Costituiscono un lavoro pregevole da cui è possibile apprendere le analisi e le tecniche di restauro.


Dagli anni 50 dello scorso secolo ad oggi, le tecnologie sono cambiate. Oggi gli approfondimenti diagnostici hanno permesso di restituire l'antico valore della pittura del Caravaggio, con la rimozione delle alterazioni che nel tempo ne hanno compromesso la forza comunicativa e l'impatto. In quattrocento anni sono stati complessivamente quattro gli interventi di restauro.

Il primo restauro fu eseguito da Andrea Suppa, al quale dai Padri Crociferi già dal 1670 venne chiesto di dare luminosità alla pittura. Venne eseguito con un lavaggio ad acqua e ciò causò probabilmente un parziale danneggiamento, al punto, sembrerebbe, da sollevare all'epoca critiche piuttosto serrate.
Nel 1820 un altro intervento venne realizzato da Letterio Suppa, che essendo egli stesso pittore effettuò dei ritocchi pittorici, con una successiva adozione di una soluzione conservativa a base di resina.
Il restauratore toscano G. De Bacci Venuti nel 1921 ha curato l'intervento con apprezzabili risultati, procedendo con la rimozione di alcuni dei ritocchi delle precedenti azioni. Ha saputo restituire all'opera l'originario splendore.
Nel 1951 ci fu l'intervento dell'Istituto Centrale per il Restauro che si dedicò fin da subito al rafforzamento della struttura con una foderatura della tela ("a colla pasta"), per poi passare alla rimozione delle ridipinture. A titolo di esempio, sulla Maddalena le varianti avevano conferito una luce falsa dei capelli e anche il Cristo nel corpo e nelle vesti avevano subito delle modifiche. Questi interventi hanno permesso il recupero integrale dei colori originari.

Scheda intervento 2011- 2012




Osservando il dipinto, vengono evocate alla mente alcune similitudini:

venerdì 29 giugno 2012

Pompei, sulle Orme di Roma. Villa dei Misteri

Il Vesuvio nel 79 d.C. ha scattato una strana fotografia. Ha fermato la vita di molti e tagliato la linea del tempo di un'ampia cittadina. Gli scavi archeologici di Pompei ci hanno consegnato un'intera città romana. Le ceneri, che il 29 agosto di quell'anno hanno seppellito anime e costruzioni, hanno protetto le architetture e le decorazioni  fino agli inizi del '900.

I romani antichi scelsero le coste della Campania per affacciarsi nelle zone meridionali della penisola italica. Alleanze e conflitti porteranno Roma ad essere egemone nella zona fin dalla fine del II secolo a. C.

Sorsero così lussuose ville e una rete di vie dense di vita e commercio. Molti furono coloro che esercitavano attività agricola e commerciale. Le costruzioni erano pertanto di tipo agricolo e di fattura residenziale. 

Le ville signorili erano ampie e comode e di norma accoglievano i romani nei loro periodi di riposo.



La Villa dei Misteri sorge un po' fuori il perimetro cittadino, in una zona in altura con vista mare. Presenta insieme le caratteristiche tipiche della costruzione rurale e di quella signorile. Un'area era dedicata anche alla lavorazione del vino. 






Sono le decorazioni - fortunatamente ben conservate - a dare lustro a questa villa. Le raffigurazioni di tipo religioso si mescolano a quelle di rappresentazione allegorica.






Le figure sono praticamente a grandezza naturale e si sviluppano in sequenze successive, sviluppando una rappresentazione scenica con situazioni separate da decorazioni verticali. La dominante cromatica rossa esalta le forme donando tridimensionalità e profondità.

Il mistero viene rappresentato nell'affresco che per dimensioni si definisce megalographia: si distinguono figure femminili in rito iniziatico di preparazione al matrimonio.

Per approfondimenti cfr: decorazioni pittoriche parietale:

  • secondo stile: tecnica architettonica in cui gli elementi vengono dipinti, invece che essere realizzati in stucco. Le prospettive si riproducono con abili giochi di colori e ombre. Durante il primo stile il rivestimento delle pareti è in rilievo;
  • terzo stile: foggia detta "ornamentale", in cui le scene in sequenza vengono riprodotte in pannelli divisi da decorazioni orizzontali e verticali.

Appunti di viaggio.  Una visita immancabile:
  • all'ingresso guide competenti e gentili sono pronte ad accompagnarvi per un giro colturale e una esperienza unica;
  • la "Piccola guida agli scavi di Pompei", consegnata presso la biglietteria con l'acquisto del titolo di ingresso, costituisce un validissimo strumento dove attingere notizie e curiosità, durante e dopo la visita.


NOTE
  • P. Vianello - G. Regalia - M. Grassi - M. Giovagnoni - M. Gandini, Il nuovo Navigare nell'arte,  B - Storia dell'arte, Ed. La Scuola, Brescia 2008;
  • Piccola guida agli scavi di Pompei, Sopraintendenza Archeologica di Pompei, 2001



sabato 12 maggio 2012

Mostra Tintoretto alle Scuderie del Quirinale

25 febbraio - 10 giugno 2012

Jacopo Robusti, detto "il Tintoretto", nasce a Venezia nel 1519. Sarà il certificato di morte a permetterci di evincere l'anno di nascita, visto che in esso si fa riferimento al decesso avvenuto il "31 maggio 1594", dopo quindici giorni di patimenti, all'età di anni settantacinque. Il soprannome "Tintoretto" gli deriva dalla professione paterna che esercitava il mestiere di tintore di stoffe nella zona di Rialto. Anche "Robusti" in realtà è un soprannome ereditato dal padre, poiché distintosi per coraggio durante la guerra della Lega di Cambrai. Comin è probabilmente il vero cognome di origine.

Al fin della grande scalinata ricurva che introduce nelle sale espositive delle "Scuderie" si è accolti da subito da una grande opera, grande per dimensioni, fattura e impatto espressivo: il "Miracolo dello schiavo". Tuttavia, a ben vedere la mostra si apre così come si chiude, ovvero con due autoritratti che segnano il limitare del percorso. Nel primo troviamo un giovane volto a tre quanti, dal piglio fiero e sicuro. Viene esposto sulla parete destra della sala. La profondità dello sguardo rende il messaggio pienamente comunicativo di una persona ambiziosa e caparbia. Tale era infatti fino ad esser considerato "ribelle", ma dalla sua minuta statura tuttavia si manifestava semplicemente la volontà di conseguire la gloria e, inoltre, al contempo, la capacità di ottimizzare le sue (non molte) risorse economiche, arrivando così anche a realizzare le stesse tele per pittura (i futuri teleri) all'interno dell'Impresa "Tintoretto". Tutto comprovato e registrato in appunti contabili, che ci hanno permesso anche di tracciare buona parte del suo percorso realizzativo e di consegnarcelo alla memoria come persona un po' "sparagnina". E così anche in questo caso, del genio non si può prescindere dalla personalità e ne scorgiamo il lato umano. Amante della vita così come del proprio lavoro, sapeva suonare strumenti musicali, amava il teatro e disegnava le maschere per il carnevale. Un uomo e un artista inserito in un contesto storico di eccezionale fermento: il Rinascimento maturo, che vedeva nelle più importanti città italiane i centri artistici d'eccellenza. Venezia era per l'epoca un centro assai importante a livello politico ed economico, ma anche culturale. La Serenissima Repubblica costituiva un centro di accoglienza delle novità provenienti dall'Italia centrale e dal Nord dell'Europa. Non è un caso che il Tintoretto vi ha trascorso praticamente l'intera esistenza, con solo poche eccezioni per brevi viaggi alla volta di Mantova e Roma. E ciò lo accomuna a Tiziano, con il quale ha avuto un rapporto di breve apprendistato nella sua bottega, che in forma romanzata si vuole narrare molto controverso e bruscamente, interrottosi per gelosia del Tiziano rispetto alle doti del giovane pittore. Tuttavia, è più verosimile pensare che i dissidi, con conseguente rottura, si siano creati per divergenze artistiche e, non di meno, caratteriali. Il Tiziano, così diverso e distante per estrazione e lignaggio: figlio di notaio, sarà insignito del titolo di Cavaliere (eques caesareus) e sarà colui che ritrarrà l'Imperatore Carlo V a cavallo (1530, Olio su tela. Madrid, Museo del Prado).
Il Tintoretto, tra non poche difficoltà, nel tempo riuscirà a rispondere alle grandi firme dell'epoca con la propria "bottega", dove in modalità proto-industriale vengono impiegate molte Persone, che collaborano con compiti specifici per rispondere alle diverse commesse. Inseriti in questo contesto lavorativo troviamo pittori fiamminghi, cui vengono affidati con molta probabilità i paesaggi. Ma anche membri della propria famiglia, come la figlia Marietta (l'amata figlia), dalla personalità artistica poliedrica tanto da essere conosciuta e apprezzata anche all'estero ed esser richiesta dalle corti di sovrani stranieri, e il suo figlio Domenico, che assisterà il padre fino a sostituirlo nella pittura degli ultimi anni di vita e alla sua morte. Questi passerà alla storia come il "Tintoretto Giovane".

Riporto il percorso che si sviluppa nelle diverse sale. Non illustrerò ovviamente tutte le tele della mostra, ma solo alcune tra le più rappresentative e quelle che più mi hanno colpito. La sensazione che si ha al termine della visita è di aver assaporato le opere di un pittore in cui convivono diverse identità artistiche. Soggetti religiosi, scene mitologiche e ritratti eseguiti per nobili e signori sono passati sotto la sua mano o sotto la sua capacità progettuale. Ma il suo pennello ha saputo concepire anche il popolino, i gradini più infimi della scala sociale. Questo ha voluto il Maestro, o includendolo direttamente nelle sue scene, o come destinatario delle narrazioni sviluppate dalle rappresentazioni, per la diffusione di un messaggio attraverso l'opera sacra.
Si riscontrerà da una lettura attenta, che Tintoretto predilige la pennellata veloce, l'effetto coloristico e scenico. E pertanto, non è tanto interessato a curare ogni aspetto e ogni dettaglio: sotto alcune pennellate traspare il colore sottostante. Alcune dimensioni prospettiche sono sproporzionate, le distanze semplicemente abbozzate. Eppure è tutto così geniale e fantastico nella modernità dell'informazione, in cui viene dato rilievo alla miseria umana, ai sentimenti e alle emozioni, piuttosto che agli spazi e alle prospettive. L'azione prevale sulle dimensioni. Tuttavia, spazi e prospettive giocano un ruolo fondamentale grazie alle architetture delle scene, per mezzo delle quali la luce da divina diviene umana.


Il Miracolo - SALA 1

- Jacopo Robusti detto il Tintoretto, Autoritratto, 1546-1547 circa

- Jacopo Robusti detto il Tintoretto, San Marco libera lo schiavo dal supplizio della tortura, (detto anche Miracolo dello schiavo), 1547-1548
Nel 1547 ha la sua prima grande possibilità di guadagnarsi la notorietà. Gli viene commissionato dalla Scuola Grande di San Marco la realizzazione di un tema riferito al Santo protettore di Venezia e della Scuola. Ha a disposizione una superficie estesa di oltre venti metri quadrati, in una parete della Sala Capitolare compresa tra due grandi finestre. Un particolare da sottolineare, perché ciò che fin da subito colpisce è la luminosità dell'affresco, una luminosità diffusa e che proviene da più punti, ma che allo stesso tempo sa mettere sapientemente in evidenza i soggetti principali nonostante la moltitudine di gente: il Santo e lo schiavo. I colori sono brillanti e il quadro è fantastico, ma al contempo provocatorio. Il signore di Provenza vuole punire lo schiavo reo di essersi recato in pellegrinaggio a Venezia in devozione del Santo. La tela fotografa il momento del martirio e l'intervento di San Marco che vanifica ogni tentativo di cavazione degli occhi e rottura delle gambe. La schiavo è nudo, ma comunque dignitosamente "vestito" da un'ombra lunga che gli copre il pube. E' costretto a terra assolutamente indifeso e alla mercé degli aguzzini e dei seviziatori. Tuttavia, gli strumenti si spezzano e diventano morbidi come burro. Tutt'intorno uomini col capo in turbante che tentano di farsi largo per assistere all'accaduto. Chi in piedi, chi in torsione vuole vedere. Al centro un personaggio anch'egli col turbante mostra al Signore di Provenza i legni di un martello ridotti in pezzi. Quest'ultimo sulla scena di destra sembra essere incredulo, nell'atto di dettar comandi senza convinzione, nella consapevolezza della totale inefficacia delle azioni per l'intervento celeste. San Marco è ritratto quasi capovolto, in volo e in picchiata. D'impatto si potrebbe pensare alle modalità d'azione di un rapace che irrompe dall'alto. Il volto è in ombra, mentre ben visibili sono i piedi e la mano veicolo del miracolo. Le architetture sullo sfondo e i giardini sono tipicamente veneziani in un'ambientazione che invece si vorrebbe in Provenza. Tintoretto pur non avendo molti libri, aveva una vulgata della Bibbia. Il miracolo del Santo veicola chiaramente il messaggio della Carità cristina. Il volo del Santo raggiunge gli uomini per la loro salvezza e la conversioni dei popoli. Lo schiavo, tuttavia, vince sul volere del padrone.
Il messaggio è molto forte. Troppo forte tanto da indurre inizialmente i confratelli a chiederne la rimozione. Ciò non avverrà perché nel frattempo tutti in città ne parlano. Alla fine prevale l'arte e il pubblico volere.
Per questo lavoro riceverà una lettera d’apprezzamento dal salace Aretino.


Gli inizi - SALA 2
Gli anni Cinquanta - SALA 2

Il percorso formativo non è noto. Indubbiamente i riferimento dei pittori veneti da un lato e della "maniera" dall'altro non possono non aver influito sulla maturazione delle abilità artistiche e dello stile. Tiziano non poteva non costituire un riferimento da cui poter prescindere, nonostante le distanze personali.
Il mercato è saturo, la concorrenza feroce.
Tintoretto sceglie una strategia aggressiva, congeniale al suo carattere: dipinge facendosi pagare solo tele e colori, oppure pochissimo o addirittura gratis. Un metodo che lo rende inviso ai colleghi - però funziona.
(Melania G. Mazzucco, Guida Breve, p. 9)

Il Miracolo dello schiavo gli conferisce popolarità. Con l'ascesa dalla Scuola di San Marco, iniziano ad arrivare a bottega numerose commesse: il suo stile genera entusiasmo, ma anche incomprensione per le modalità realizzative di alcuni temi sacri.

Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, La disputa di Gesù con i dottori nel tempio di Gerusalemme, 1541 circa
Il libro in primo piano sulla sinistra è smisuratamente grande. Colpisce anche l'espressione del viso di chi a fatica lo sostiene e ne consulta gli scritti, che tradisce la difficoltà di orientamento tra gli argomenti trattati e lo sforzo dei movimenti della mano nell'individuazione dei riscontri. Ma anche il soggetto sulla destra, non di meno attonito, sostiene  il gravoso peso del grande volume, anch'egli intento a seguire i discorsi con impegno, ma deludenti risultati.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Apollo e Dafne, 1541-1542, (Modena, Galleria, Museo e Medagliere Estense)
Rappresentazione di soggetto chiaramente mitologico, dove viene raffigurata la scena dell'inseguimento. Anche in questo caso il Pittore vuole dare risalto al movimento, costringendo lo spettatore a osserva i due soggetti di spalle. Tintoretto aveva tra i suoi pochi libri anche una Vulgata de Le Metamorfosi di Ovidio: il momento della trasformazione della ninfa in albero esalta la poesia e trasmette sensazioni ancora oggi vivide e vibranti. Ci si chiede se affascina di più l'idea della conquista del vivere l'amore conquistato.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Deucalione e Pirra, 1541-1542, (Modena, Galleria, Museo e Medagliere Estense)



Le Scuole Grandi - SALA 3

L'obiettivo più ambito era l'assegnazione di commissioni dalle Scuole Grandi. Nei primi anni sessanta per la sala capitolare della Scuola Grande di San Marco vengono commissionati al pittore tre realizzazioni con a tema il miracoli di San Marco.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Il trafugamento del corpo di San Marco, 1562-1566

Le vicende che legano Tintoretto col medico Tommaso Rangone, ci parlano di una commissione di tre quadri con i miracoli del Santo patrono per la sala capitolare della Scuola Grande di San Marco. Il medico passerà alla storia per la sua continua ricerca dell'immortalità, guadagnandosi di fatto una immortalità ultraterrena e artistica essendo 
raffigurato nei teleri (in quello qui esposto lo riconoscete per il mantello dorato da cavaliere). Dopo la sua morte, gli altri fratelli della Scuola, gelosi, ordinano a Tintoretto di cancellare il vanitoso mecenate. Tintoretto non lo farà.  (Melania G. Mazzucco, Guida Breve, p. 11)
Colpisce la presenza di figure eteree, di spiriti che si muovono tra le colonne e manifestano il conato di prender forma. Ancora una volta colpisce la prospettiva delle architetture e il senso del movimento nelle figure.



L'avventura della Scuola di San Rocco - SALA 4
Il pittore di tutti - SALA 4

La Scuola di San Rocco bandisce nel 1564 un concorso per la realizzazione dell'ovato centrale del soffitto destinato alla sala dell'Albergo (la sala più importante). Il concorso non avrà luogo, in quanto il Tintoretto presenterà il quadro finito in luogo del bozzetto.
Questa mossa astuta gli consentirà di collaborare a lungo, fino al 1588, con la Confraternita. La Scuola Grande di San Rocco rappresenta un importante riferimento di decorazione pittorica del Maestro.


Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, L'Ultima Cena, 1561-1562
Venezia, Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio detta Chiesa di San Trovaso.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, L'Ultima Cena 1574-1575
Venezia, Chiesa di San Polo.

Nella tela di San Trovaso è raffigurato l'annuncio del tradimento di Giuda: questi non si riconosce tra gli apostoli.  Tutti hanno cinta l'aureola sul capo, anche la figura centrale per la quale questa è pallida e sottile, ma tuttavia presente. Il Maestro sembra quasi dirci che il tradimento è dentro ognuno noi.
Mi piace pensare all'idea del Tintoretto come pittore di tutti. Negli anni in cui realizza queste rappresentazioni di “Ultima cena” il Maestro è conosciuto e apprezzato. Nonostante ciò vuole adoperarsi per le genti comuni, con l'intenzione di veicolare messaggi di fede e di speranza. Pertanto, è possibile scorgere oggetti di uso quotidiano e animali domestici, che aiutano il "lettore" comune (spesso privo di formazione scolastica) a ritrovarsi e identificarsi.


Il pittore dei dogi - SALA 5

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Incoronazione della Vergine o Paradiso, 1564 circa
L'Empireo come lo immagine il Maestro: un grande occhio, una figura si direbbe dantesca. Nella mostra è presente questo lavoro, che costituisce il sogno di sempre: una sua rappresentazione e interpretazione per la sala del Maggior Consiglio. La sorte gli negherà in un primo momento la commissione; il fato gli offrirà in un secondo tempo l'occasione della vita. Ma una volta conseguito il sogno di sempre non coglierà l'opportunità, non potrà o non vorrà dipingere il Paradiso di propria mano. Il lavoro verrà eseguito dal figlio, con modalità diverse dal progetto. Del Maestro a noi rimane quanto da egli ideato e prefigurato.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Madonna con il Bambino e i Santi Sebastiano, Marco, Teodoro, venerata da tre Camerlenghi, detta anche Madonna dei Tesorieri, 1566-1567
E' un esempio di immagine votiva dove viene celebrato, a futura memoria, la fine del periodo di permanenza in carica. Troviamo ritratti i committenti (M. Pisani, L. Dolfin e M. Malipiero) in omaggio della Madonna col Bambino e i Santi.
Per quest'Olio il Pittore è al cospetto del potere della Serenissima Repubblica: i Camerlenghi, ovvero i responsabili delle finanze dello Stato, in roboni (mantelli) e pellicce, accompagnati dai loro commessi. E' un momento di commemorazione e autocelebrazione.

Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Ritratto di Sebastiano Venier con un paggio, 1577-1578 circa
Del condottiero SEBASTIANO VENIER la storia registra l'episodio decisivo nella Battaglia di Lepanto (1571). Lo spettatore non può non riscontrare la diversità realizzativa dell'ordine superiore rispetto a quello inferiore. La corazza riluce nei riflessi metallici, il mantello è morbido panno che introduce al teatro di  battaglia sullo sfondo e alla fierezza dell'elmo. Più in basso, peraltro, le gambe sono tozze e rozzamente abbozzate; il colore innaturale e la pennellata eccessivamente veloce. Ciò rende il Genio così vicino alla natura più umana, all'umana contraddizione e, pertanto, ancor più apprezzato nelle sue perfette imperfezioni.




I ritratti - SALA 6

Si sale di un piano dove troviamo nella prima sala, la numero 6, la serie dei dipinti dedicata ai ritratti di personaggi di riferimento della Venezia del tempo, realizzati tra il 1548 e il 1575.
E' il passaggio a mio avviso meno appassionante del percorso espositivo. Tintoretto dipingeva i ritratti per ingraziarsi la benevolenza del pubblico che contava. Le sue capacità gli consentivano una realizzazione assai rapida e ciò gli garantiva anche la possibilità di ottenere un introito sicuro. Tra i tanti:

Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Ritratto di Jacopo Sansovino, 1566 circa
La famosa tela della Galleria degli Uffizi costituisce un raffinato esempio di ritrattistica per illustri personalità.


- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Ritratto di Alvise Cornaro, 1562-1565 circa
Di Alvise Cornaro la curiosità è che egli scrisse un Compendio "Della Vita Sobria" avendo in effetti vissuto a lungo.



La bellezza femminile - SALA 7

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Susanna e i vecchioni, 1555-1556
Il mio preferito, così finemente realizzato e ricco nel simbolismo, così forte nel messaggio e intenso nel contraddittorio dei sentimenti suscitati. Si viene proiettati nell'atmosfera di una ambientazione fiabesca, Susanna al centro della scena; negli anfratti di una natura rigogliosa, i vecchioni nell'intento di coglierne furtivamente le intime nudità. Una gamba nell'acqua, mentre l'altra viene asciugata delicatamente da un candido drappo. I polsi sobriamente ingioiellati e lo sguardo innocente verso lo specchio. E' una storia di castità, fedeltà e giustizia. Susanna dalla pelle lattea e vellutata risalta grazie alla irradiante luminescenza. I vecchioni in disgustoso appostamento voyeuristico carpiscono le nudità della giovine donna nell'atto della toletta. Prendere le distanze dal comportamento spregevole, esprimere disagio e disgusto, emendare l'ignobile comportamento, sono questi i sentimenti che all'impronta si esprimono con forza e convinzione. Tuttavia, la bellezza e la sensualità di Susanna catturano lo sguardo e ci costringono in una involontaria complicità con i vecchioni, trasformandoci da spettatori a partecipi osservatori.
La trama e la fotografia di un soggetto seppur religioso, svincola la tela da ogni finalità più diffusamente votiva, rendendola universale e moderna. La storia (vd. "Libro di Daniele") narra dell'esercizio bieco del potere da parte degli anziani giudici allo scopo di ottenere le attenzioni della bella e casta fanciulla e, tuttavia, si conclude col trionfo della fedeltà.
Nella scena una gazza cerca di richiamare l'attenzione della bella Susanna. Sullo sfondo le papere, simbolo di falsità, mentre sulla sinistra il cervo immagine del Cristo che chiama le anime degli uomini e, inoltre, l'albero di fico a rappresentare la Chiesa stessa. Il sambuco viene scelto come simbolo dell'ambiguità, per la bellezza del fiore e il disgustoso odore delle bacche.


Tintoretto e la "maniera" - SALA 8



L' "impresa" Tintoretto - SALA 9



Congedo - SALA 10

Il congedo è il preludio della morte.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, La Deposizione di Cristo nel sepolcro, 1593-1594
In presa volutamente diretta con la bella Susanna, cito la realizzazione del Tintoretto della Deposizione del Cristo, per sottolineare il riferimento del tema dell'imperitura contrapposizione di Eros e Thanatos.
Il Robusti, ormai vecchi ha delegato le commesse alla bottega, ma la Deposizione sarà seguita più direttamente dal Maestro, ferito dalla perdita di un figlio di cui non ha potuto assicurare la sepoltura.
L'apertura delle braccia di Maria in svenimento richiama quella del Cristo deposto dalla croce. Un chiaro richiamo all'eterno rapporto che indissolubilmente lega un genitore ai propri figli.

- Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Autoritratto, 1588-1589
La mostra si chiude con l'autoritratto di tarda età. Un uomo dalla barba canuta, così folta da nascondere la bocca. Lo sguardo profondo e penetrante, nonostante gli occhi rigonfi. Sembra uno sguardo di sfida lanciato alla Signora delle tenebre, forse è il volto enigmatico dell'esistenza che tutti noi attenderà.



Riferimenti della Mostra:

Mostra e catalogo a cura di Vittorio Sgarbi
Commissario generale Giovanni Morello
Testi Melania G. Mazzucco
Coordinamento scientifico Giovanni C. F. Villa
I testi di sala sono di Vittorio Sgarbi (V.S.) e Melania G. Mazzucco (M.G.M.)


Da non perdere:

Notte dei Musei 2012

Michelangelo Buonarroti Leonardo Da Vinci, Raffaello Sanzio, Michelangelo Merisi. Sono solo alcuni tra i protagonisti del grande kolossal che, il prossimo 19 maggio, animerà i più importanti musei italiani per una notte di cultura, spaventosamente divertente e gratuita, tutta da vivere. [segue...]



La notte dei musei. La notte delle biblioteche
19 maggio 2012 dalle ore 20.30 alle ore 00.00

Sabato 19 maggio 2012,  per il quarto anno consecutivo, Roma aderisce all’appuntamento con La Notte dei Musei, evento che dal 2005 si svolge con successo in tutta Europa e che quest’anno coinvolgerà oltre 3000 musei e 40 paesi. [segue...]



Fonti:

Link di approfondimento:





Tintorétto, Iacopo Robusti Detto Il

Enciclopedie on line
Tintorétto, Iacopo Robusti detto il. - Pittore (Venezia 1518 - ivi 1594), dovette il soprannome alla professione di tintore esercitata dal padre. Uno dei massimi innovatori del Rinascimento veneziano, fin dalle sue prime opere si nota una forte impronta della cultura figurativa del manierismo. Il pittore armonizzò la tradizione veneta di Giorgione e Tiziano, basata sulla funzione espressiva autonoma del colore, con la cultura fiorentina e romana, rivolte al ruolo primario del disegno. Di particolare rilievo nella sua produzione pittorica sono le tele della Scuola di S
Leggi tutto

mercoledì 25 aprile 2012

Festa della Liberazione

25 aprile 1945


Ricordiamoci e ricordiamo ai nostri figli e ai figli dei figli l'importanza della libertà.
La libertà dalle persecuzioni, dagli eccidi e dalle stragi.
Dalle bombe e dalle sue rovinose deflagrazioni.
Dalla fame e dalle malattie.
Dai pianti delle mamme e dall'inconsapevole silenzio dei padri, perché ignari al fronte.
Ricordiamolo perché è importante, affinché si depositi sempre più nella memoria.
E diventi consapevolezza collettiva. Senza acredine. Anche attraverso una tastiera.


Buona memoria a tutti


mercoledì 21 marzo 2012

Primavera a Roma

Primavera

Riempie di ottimismo e allegria.
Ogni momento va goduto,
perché non sfugga nemmeno un'occasione di vita.




Una buona occasione per vivere
l'Arte e l'Ambiente:


Fondo Ambiente Italiano
per il Paesaggio, l'Arte e la Natura
XX GIORNATA FAI DI PRIMAVERA

martedì 13 marzo 2012

La fontana del "Mascherone" in Via Giulia













Via Giulia, elegante e raffinata

Gli interventi urbanistici che nel Quattrocento interessarono le corti italiane, assicurarono opere nei più importanti centri cittadini dell'epoca, come Milano, Firenze e Ferrara. Tuttavia, anche una piccola realtà come Pienza fu coinvolta nel processo di rinnovamento, con la sua trasformazione da borgo medioevale a residenza papale di stile rinascimentale.




Questo movimento verrà avviato a Roma solo più tardi. Infatti, qui non vigeva uno status politico tipico di corte o signoria, per effetto del fatto che oltre al papa, anche storiche famiglie nobiliari esercitavano una certa e non indifferente influenza politica.

Papa Giulio II  (1443 - 1513) durante il suo soglio cercò di circoscriverne il ruolo, affrancandovisi progressivamente allo scopo di portare lo Stato Pontificio a livello di grande potenza europea. Fu, infatti, assai attivo nella politica internazionale, tanto da guadagnarsi l'epiteto di papa "guerriero".



Via Giulia costituiva il simbolo della Roma di quei tempi e a tutt'oggi è ancora così elegante e magica. Fu voluta proprio da papa Giulio II (e aperta all’inizio del Cinquecento), il quale aveva in obiettivo, come già accennato, il rilancio dell'Urbe nel panorama politico ed economico. Per fare ciò, cercò di coinvolgere negli investimenti grandi mercanti e banchieri dell'epoca (come, ad esempio, Agostino Chigi) che si occupassero anche dell'amministrazione delle finanze papali.




La fontana del "Mascherone"
Se accediamo in via Giulia dal versante di Ponte Sisto, la fontana del "Mascherone" si trova sulla sinistra, solo dopo pochi passi. E' appoggiata ad un muro retrostante, edificato nell’Ottocento.
L'opera, che risale al XVII secolo, fu voluta della potente famiglia Farnese, su progetto di Girolamo Rainaldi.
La fontana è composta di marmo bianco, granito bigio, travertino e metallo per il giglio sormontante. Nei progetti era previsto che fosse alimentata con l’acqua Vergine, ma per l'avvio dell'opera, si dovette optare per acquedotto Paolo.
La vasca in granito è collocata in un bacino situato a livello stradale e frontalmente il profilo marmoreo presenta al centro un mascherone antico che versa l’acqua. Tuttavia, nel 1720 per celebrare la nomina a Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta del signorotto senese Marco Antonio Zondadari, venne data disposizione di far uscire vino anziché acqua dalla fontana per tutta la notte dei festeggiamenti, fino al mattino successivo.


Via Giulia costituiva luogo di gran passeggio per signorotti e alti prelati. Peraltro, costituiva anche luogo di frequentazione per le cortigiane dell'epoca, donne di norma di raffinata cultura e dedite all'arte, che accompagnavano facoltosi commercianti.




Curiosità in Piazza Trilussa: la poesia accanto al busto
Oltre Ponte Sisto

All'Ombra

Mentre me leggo er solito giornale 
spaparacchiato all'ombra d'un pajaro 
vedo un porco e je dico: - Addio, majale! - 
vedo un ciuccio e je dico: - Addio, somaro! -

Forse 'ste bestie nun me capiranno, 
ma provo armeno la soddisfazzio 
nede potè di' le cose come stanno 
senza paura de finì in priggione.




Le tue insicurezze sono le mie

POESIA
~ Massimo Ballo ~

Percorrer in prati sentieri ritorti
calpestio di fusti, immagini contorte
l'aria lieve è ora alle porte
lontani visibil lumi in bagliori distorti.

Una piuma dal vento menata, quale soffìo
leggera, eterea, con sè scivola ogni tremore
ora lascia tradir il desio del partire,
riluce il pallore fondesi al nubìo.

Vola alta e puotesi solo rimirare, avvertire.
E' leggera, ma insostenibil nel candore.
E' come toccarla nel ciel in bagliore,
grave è il peso del verbo al mio sentire.

Lascia traccia di profondo, un solco in aratro,
antico tratturo il ripetersi di buoi in pastura.
Alzasi in volo polverosi aliti nella vista immatura
è l'arcaico viver del mio tempio in simulacro.


E in cuor il capriccio, ché desidero quel ch'Egli ferma.
Non v'è risposte ma dogmatica vita e adorazione.
Liberar il coraggio per darti in vista un’illusione.
In ritroso percorrere di rive del tempo che riarma.

Nel ciclo del tempo perder ogni desio
rifiutando il corpo nel vecchio intorpidire.
Eppur limpide parole accompagna in oblio
in segreti luoghi mozzar fiati al vero sentire.

Sarà che non vedrò le pietre antiche nel sol ardere
e nel buio tremare al canto del timoniere del destino.
Da crespata terra sia tenace il risorgere
l’istinto schiuderà ai nuovi orizzonti del cammino.

Non riempirò d'aria nel principiar dei voli.
Iddio getta lo scritto e libra ogni respiro,
in attrazione e per sassi torniam come soli.
Mai persuaso nel doveroso addio ora ammiro.


Sarà moneta di freddezza che a morte mi ferisce.
Cos’è l’amore, la gioia, la tristezza.
Giunge il momento di comprendere per chi capisce.
Inghiottir l’acre delusione in pochezza di certezza.

E’ lontana e brilla lucente nella notte
e nell'or che m'abbraccia non vorrei.
Irradia gli occhi, si avvicina nel mutar la sorte.
Alba il ciel ma nel peccato non siam rei.

Chi arresta i pensieri confinatomi nei penitenti.
Erano granelli che quasi sospesi vengon giunti insieme,
effetti inversi strozzandone gli eventi.
Di data in dì spender il respiro, incerto alla visione.

Reo di ricordar l’antico, in vero solo novità.
Getta il vissuto nel buio silenzioso dell’indifferenza.
La rimembranza mi risuona vuota come sacralità,
spinge la sabbia in clessidra nell'oscura rimembranza.

E sarà di chi amo un singhiozzo di vuote sembianze,
acciocché alla vista della Signora è tempesta che trafigge.
Quelle che migrano negli addii delle partenze.
Immortalità, eternità il dubbio rovescia in tramogge.

Il ripetersi vizioso di domanda sempre indarna.
Se eternità sia, sarà riunione d'ogni anello spezzato.
Con impavida visione cogli la lama in pelle scarna
torniam sconosciuti e nella pietà affrancato.


Di quale amore se di ratto El disfa il percorrer d'una seminagione.
Figlio, Or vo. El creò il brillar d'occhi, il battito guizzoso di profusione,
ordini felici in volo d'intrecci di mani in novella stagione.
Figliolo, di affrastellati dubbi non consegnerotti né risposta, né ragione.







I figli chiedono risposte, ma i genitori spesso non ne hanno.
Ci indicano la strada dei dubbi e ci insegnano l'umana fragilità del quotidiano.
E spesso ci si rifuggia nella sicurezza di una maschera posticcia.




NOTE:
  • Salvatore Spoto, Le fontane, Edizioni Coralli, Roma 2010

domenica 19 febbraio 2012

Passeggiata tra le torri di Roma

Alla ricerca delle tracce medievali


Dalla Torre della Scimmia di Palazzo Scapucci a Tor Millina, passando per Tor Sanguigna.


Ogni volta che leggo le pagine di Luigi Malerba, ne vengo catturato dall'esposizione e dalla composizione stilistica, fino a sprofondare in una lettura appassionata. In questa occasione il riferimento che faccio è a "Parole al vento", un lavoro che, pur costituendo di fatto un testo un po' anomalo, tuttavia non fa eccezione per le emozioni che le sue pagine riescono a trasferire. Infatti, come molti sapranno, l'opera, curata della figlia Giovanna Bonardi, propone una raccolta selezionata di interviste rilasciate dal padre Luigi nel corso della sua attività, il quale, egli stesso, le ha supervisionate e approvate in funzione della pubblicazione.
Per certi aspetti il libro nel "format" ricorda Plutarco, in "Questioni Romane", in cui troviamo una serie di domande sulle tradizioni e i costumi di Roma, cui seguono interessanti risposte.
Sono molti gli argomenti trattati in "Parole al vento". Tra questi, l'impegno dell'Autore verso l'Ambiente spicca preponderante. Ma ci sono anche pagine dedicate all' "Abitare a Roma" (p. 161 e ss).




Se ci si trova a passeggiare per via del Corso, è possibile che si venga attratti dalla bellezza e dalla maestosità di piazza Colonna e che, quindi, si senta presto la voglia irrefrenabile di deviare dal percorso programmato. Si curva e da lì si è sempre più attratti verso l'interno, verso l'intima beltà di Roma. Il passaggio diviene allora obbligato: le indicazioni verso le celeberrime piazze della Città Eterna ci distraggono e ci confondono, fino a farci perdere il controllo delle gambe. Si sussegue in autonomia il passo e già da piazza Montecitorio il canto delle sirene si percepisce via via più distinto, fino spingerci alla volta del Pantheon: un'altra tra le tante bellezze di Roma, certamente non inferiore ad altre.
Ma se, al contrario, si riesce a recuperare per tempo la capacità di resistere alla forza magnetica esercitata dai luoghi più famosi, è possibile raggiungere e visitare architetture non meno interessanti e non meno emozionanti.
Pertanto, se scendendo verso piazza Campo Marzio e, quivi giunti, invece di deviare a sinistra per via della Maddalena si prosegue dritti per poi voltare in via della Stelletta, una volta attraversata via della Scrofa ci si para davanti un angolo d'altri tempi. Una romanità che per un momento ci sospende dai rumori dei motori, con le loro maleodoranti emissioni nocive. Qui si ha la sensazione di aver trovato uno dei rari quadrifogli in uno sconfinato tappeto di fiori rinascimentali che caratterizza la Roma dei papi. In via dei Portoghesi, infatti, scopriamo Palazzo Scapucci, con la Torre della Scimmia in esso inglobata. Al momento in cui si scrive, è con vero piacere che si riscopre il palazzo recuperato e liberato dal grigiore e dal degrado del tempo e dell'incuria, grazie a lavori di restauro che sono in via di conclusione.
Proseguendo per via dei Pianellari, si costeggia il fianco sinistro della Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, con la possibilità di entrare in questa fantastica chiesa da una piccola porticina, come alternativa all'entrata principale sulla piazza a seguire, con la sua imponente facciata preceduta da una scalinata. La Basilica ospita un capolavoro di Caravaggio, la "Madonna di Loreto", detta anche "Madonna dei Pellegrini" e un importante affresco parietale di Raffaello Sanzio, "Il Profeta Isaia". Proseguendo, una volta giunti sulla piazza di Sant'Agostino, oltrepassato l'arco sulla destra si accede in Piazza delle Cinque Lune, che ci porterà, entro pochi passi, ai piedi di Tor Sanguigna, nell'omonima Piazza.
Tuttavia, non ancora parchi sappiamo che nei pressi si trova un'altra Torre, quella dei Millini. L'edicola sacra alla Madonna Assunta ci indica la strada. Sulla sua sinistra addentrandoci troviamo un altro angolo pittoresco. E' necessario imboccare Vicolo di Febo e, a seguire, percorrere Via di S. Maria dell'Anima per scorgere Tor Millina.

Ordunque, perché il riferimento al Malerba fatto all'inizio di questo POST? Egli con la propria famiglia ha abitato a Roma, precisamente "per quattro decenni in via Tor Millina". All'inizio dell'intervista a pagina 162 del testo citato in apertura parla di Roma come di città unica anche per gli effetti terapeutici e di conforto nei "momenti negativi della vita che piovono ogni tanto dal cielo sugli umani". So di cosa parla perché conosco il sentimento sulla mia stessa persona, così come anche del sostegno che si può avere attraverso le espressioni delle opere di interesse storico-artistico.
Roma uscirà a breve dall'inverno e presto sarà nel pieno dell'esplosione primaverile. Il tragitto che mi porta al lavoro sarà tra non molto diverso. L'aria tiepida e i colori vividi esalteranno ancor di più i monumenti e le grandiose architetture. Cambierò strada per assaporare il lungotevere, per immergere il mio sguardo nel Circo Massimo. Sarà difficile distaccarmi per proseguire verso le quattro mura di un lavoro lungo e tedioso, dalle sorgive menti insipienti. Ma le ore del sole si allungheranno e per il ritorno rinnoverò il rito, entrando finanche nella zona riservata, quando ciò sarà permesso dal display con su scritto: "VARCO NON ATTIVO". E così cavalcherò le mie due gomme alla vista del Colosseo, di Piazza Venezia, di Corso Vittorio Emanuele II. Appena posso, infatti, fuggo in questi luoghi, per ritrovarvi l'energia d'altri tempi. Per incontrare nuovamente me stesso, con le mie nuove vecchie consapevolezze.
Col passar del tempo ne testimonio il loro cambiamento. Hanno via via perduto questi luoghi la genuinità, anche se per certi aspetti ciò a vantaggio della mescolanza di origini ed etnie, con conseguente affievolirsi del provincialismo. L'incontro dell'altro nell'esaltazione del confronto tra diversità di realtà culturali costituisce sempre occasione di arricchimento. Nelle vie e nelle piazze dell'antichità, del Rinascimento e del Barocco echeggiano spesso ritmi sudamericani e note musicali dai paesi anglofoni. THE WALL è suonato spesso al Pantheon per abbattere ogni muro di separazione e segregazione.
Non di meno, tuttavia, ognuno per propria parte dovrebbe concorrere al conseguimento di preziosi equilibri, che nell'insieme possano garantire almeno la misura del sostenibile, fino al raggiungimento delle condizioni dell'auspicabile come traguardo. Il contesto cui fa riferimento il Malerba descrive una situazione che muta profondamente l'habitat. Attualmente in via di Tor Millina resiste ancora una bottega di carni fresche dal fascino vintage, che trasmette tradizioni e antichi sapori. Tutt'intorno sono sorte però "paninerie, spaghetterie, similpub, creperie, gelaterie [...] che hanno stravolto l'ambiente", tanto che "alla mattina il selciato è pieno di bicchieri di plastica e cartacce". Il macrocosmo, costituito dalla comunanza culturale, non deve fagocitare il microcosmo, fatto di tradizioni e identità locali. Se è vero che non possiamo perdere nemmeno una occasione di integrazione, di contro non possiamo al contempo dispendere la parola e i riti dei nostri avi. Il vero progresso passa per una pacifica convivenza civile, nel rispetto delle specificità dettate dalle tradizioni. Anche il rispetto per l'Arte, l'Architettura e l'Ambiente ne costituisce una manifestazione.


Il Medioevo a Roma
Rione Ponte


Non è facile trovare tracce della Roma medievale: le diverse torri e fortezze che sono state costruite dal IX sec. in avanti per la maggior parte sono andate distrutte a seguito di interventi urbanistici e terremoti [cfr fonte: medioevo.roma >>].
Il valore che questo patrimonio esprime negli aspetti architettonici e artistici, testimonia anche da un punto di vista storico la portata del rapporto sul finire del primo secolo tra il papa e l'aristocrazia romana, dato che quest'ultima ne considerava la nomina un momento per misurare i rapporti di forza politica interna con l'imposizione di componenti del ramo familiare.

Di seguito vengono riportati tre esempi di strutture visibili lungo un percorso proposto:


Sant'Antonio dei Portoghesi
Torre dei Frangipane, detta della Scimmia

Con accesso da via dei Portoghesi, la torre dei Frangipane si trova inserita tra via dell'Orso e via dei Pianellari. Di origine medievale, oggi tuttavia si presenta in forme quattrocentesche. Inglobata in Palazzo Scapucci, fu fatta costruire in origine nell'XI secolo dalla Famiglia romana dei Frangipane tanto che qui vi nacque nel 1014 Oddone, dalla Chiesa proclamato santo e le cui reliquie vengono conservate in Ariano di Puglia.
Come testimoniato dalla scritta incisa all'interno di una corona sulla facciata di via dell'Orso, una primitiva struttura del palazzo vicina alla torre fu fatta costruire nel 1507 da Pietro Griffo, vescovo di Forlì. Questi cedette il palazzo e la torre al Convento di S. Agostino (in cui è oggi sede l'Avvocatura Generale dello Stato), che ne disposero subito dopo il trasferimento in enfiteusi alla famiglia Dolce. Con il matrimonio tra Modesta Dolce e un membro degli Scapucci (Marcello?) l'immobile passò a questa famiglia. Gaspare Scapucci ne dispose l'ampliamento del palazzo su progetto di Giovanni Fontana, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento. In questa occasione l'edificio e la torre diventarono un unico complesso.
Secondo altre fonti, fu con la morte di Mario Frangipane nel 1654 ed estinzione dinastica che la torre transitò agli Scapucci. Uno stemma di questa famiglia è visibile dalla parete di una bottega in via dell'Orso.


Palazzo Scapucci e Torre della Scimmia
La torre in laterizio presenta per ciascun lato quattro ordini di finestre a mostra marmorea. Da via dei Portoghesi è ben visibile la cornice che corre sotto le finestre a finitura dell'ultimo piano. La torre termina con una terrazza a pianta maggiorata e, quindi, sostenuta da beccatelli. La merlatura è pressoché assente.
La torre dei Frangipane è meglio conosciuta a Roma come “Torre della Scimmia”, in conseguenza ad una nota leggenda che giustifica la presenza sulla sua cima della “Madonna della Scimmia” - con una mezzaluna e una stella, simboli della famiglia - perennemente illuminata da una lampada ormai da secoli.
Dello stabile colpisce l'elegante portone dal cui profilo bugnato spicca lo stemma  araldico degli Scapucci (mezzelune e stelle, appunto), nonché le colonne doriche a parziale sostegno della sovrastante balconata.




Statuina della Madonna con il lume sempre acceso

In merito alla leggenda, si racconta che un giorno una scimmia domestica che viveva in casa Scapucci avrebbe portato tra le braccia sulla torre l'unico figlio dei proprietari. I genitori tornando a casa, una volta arrivati nei pressi, videro una folla di gente con lo sguardo rivolto alla cima della torre. Alzato lo sguardo, impallidirono nello scrutare la scimmia sulla cima della torre con sé il pupillo, che da quella situazione rischiava di precipitare.

Il padre pregò la Vergine e il miracolo avvenne come testimonia la statuina della Madonna sulla torre con un lume sempre acceso.









Tor Sanguigna
Tor Sanguigna

Tor Sanguigna, roccaforte della famiglia Sanguigni, è un'altra delle torri medievali di Roma. Molto vicina a Piazza Navona, è situata ad angolo tra via Zanardelli e piazza di Tor Sanguigna (che assume il suo toponimo proprio dall'antica torre). Della costruzione del XIII secolo oggi sono visibili solo le facciate stradali, dato che nel XIX secolo fu costruito un palazzo che ne inglobò i due lati interni. In verità una piccola porzione di terzo lato ricavato dal retroposizionamento del palazzo sulla piazza è appena visibile grazie ad una mensola appena sporgente.
La torre è realizzata in mattoni di laterizio e blocchi di tufo, alternati nella sua parte iniziale. La composizione conferisce un colore rossastro, tanto che ne ispirò la fantasia del popolo anche in ragione del nome della torre.
Originariamente sul lato di via Zanardelli era previsto l'accesso. Ad oggi, da una attenta osservazione, se ne può distinguere il residuo profilo superiore dell'arco.
La torre è caratterizzata da una asimmetricità degli affacci, con quattro finestre su un lato e due sull'altro: solo quest'ultime presentano le mostre in marmo. Come curiosità, si richiama l'attenzione su una piccola testa incastonata nel muro a livello del primo piano, forse antico reperto storico.
La torre termina con una merlatura dove poco sotto sono ancora presenti dei supporti per le travi di legno da dove si poteva lanciata la pece o l'acqua bollente sugli assalitori.


Edicola sacra

La famiglia Sanguigni rimase proprietaria della torre fino al Quattrocento.  Nel medioevo questa fu teatro di fatti violenti e delitti legati alle lotte baronali, diventando così l’emblema della zona nei pressi di piazza Navona.
Nel Rinascimento la zona si caratterizza per la presenza di molte cortigiane, che, tuttavia contrariamente a quanto si possa immaginare, per maggior parte erano donne coltissime e assidue frequentatrici della Chiesa di Sant'Agostino.













Tor Millina





L'antica e nobile famiglia dei Millini o Mellini, molto agiata, nel tempo si divise in due rami, di cui uno ebbe numerosi possedimenti nella zona di Piazza Navona, tanto da dare il nome anche alla Chiesa di S. Nicola, detta de' Mellini. Di questi possedimenti, tuttavia, oggi rimane ben poco, poiché della maggior parte ne entrò in possesso Innocenza X per l'ampliamento del Palazzo Panphilj.
In via Santa Maria dell'Anima, all’incrocio con via di Tor Millina, si trova un complesso architettonico composto da un palazzo e dalla torre baronale. Il palazzo fu fatto costruire da Pietro Millini, che con l'occasione restaurò e incorporò l'antica torre. Qui per ogni piano ne venne prevista l'apertura di quattro finestre e la chiusura del ballatorio con un tetto, sotto cui si legge ancora oggi la scritta "MILLINA", realizzata con caratteri in terra cotta. Similmente alla Torre dei Frangipane, anche la "Millina" termina con una struttura a pianta maggiorata, sostenuta, quindi, da beccatelli.
Nel 1491 in occasione del matrimonio tra Mario Mellini e Ginevra Cybo, nipote di papa Innocenzo VIII, esternamente al palazzo e alla torre furono fatte realizzare delle decorazioni con pitture a monocromo e con graffiti, oggi purtroppo quasi interamente perduti.

Tor Millina non è l'unica a recare il proprio nome sotto la merlatura: anche la Torre del Grillo riporta la scritta in stucco "Ex Marchione de Grillis".


Curiosità della zona. In un palazzetto di vicolo degli Osti abitavano i fratelli Luigi e Giacomo Bigiarelli, due dei fondatori della Società Podistica Lazio. Della nascita ne venne data la notizia il 10 gennaio 1900 ne "Il Messaggero", con l'invito rivolto a tutti gli interessati a rivolgersi presso questo indirizzo per acquisire ulteriori informazioni. [Fonte. LazioWiki]


NOTE
  • Giorgio Carpaneto, I palazzi di Roma, Newton & Compton Ed., Roma, nov. 2004;
  • Willy Pocino, Le curiosità di Roma, Tradizioni Italiane Newton, Roma set. 2010;
  • Lovatelli, Morabito e AA.VV., Roma insolita e segreta, Jonglez, Tours (FRA), apr. 2010;
  • Claudio Rendina, Guida insolita [...] di Roma,  Tradizioni Italiane Newton, Roma ott. 2010;
  • Baracconi e Blasi, I Rioni di Roma, Ponte, Ed. Il Cubo, Roma, 1999


LINK





Ortre l'immobbilismo de' l'apparenze

POESIA

― Embè, disse chello che ingobbito se aritirava dar lavoro,
― sta a vede' che mo' c'hai pure quarcosa da sparti',
doppo che tutto er giorno in finestra ce fai er faro,
dar freddo ar riparo, senza ché 'a madina ch'hai da sorti'!

Co' 'n soriso abbozzato tra 'a rabbia e 'l dispiacere,
l'ommo in finestra se guarda l'urlatore:
pensi d'esse informato eppure dovresti da sapere,
che si te guardo da quissù nun è pe' posizione de favore.

― Tu te fidi solo dell'occhi tua, ma diedro 'sto muro
ce so' du' gambe vojose, ma assai debboli;
m'accompagnano 'ste rote nell'istrada der mi' futuro,
eccossì si vedi er monno da seduto, sappi che se rimane spesso soli.

Arispose sconcertato er ciabbattino: ― te chiedo iscusa si so stato insolente,
si assai incapace so stato de vede' 'a pena ortre quer muro,
er lavor m'avviluppa e me fa perde 'a sensibilità pe 'a pena de 'a gente,
cossì 'e pareti der mi còre so più tese de un tamburo.

Educato, ma co' fermezza, aribbadisce prontamente ne 'a replica l'interlocutore:
― te perdono pecche' ne' l'apparenza se riscontra er difetto che più s'affolla,
ma na cosa te consijo de fa' primma che der giorno se spenga er chiarore,
sopra a testa c'è er cielo, bianche nuvole e l'aria freschicella.

― Nun guardà 'a vita comme si guardassi a Medusa,
'na pietra te immobbilizza l'annimo e te toje er soriso der fanciullo,
cossì ogni giorno te spegni sempre più a guadagno di chi te usa,
fino a quanno a fin dell'orto nun te vai a Santa Calla.

― Esci dar torpore de bottega, guarda chella torre: facce caso, lissù c'è 'na scritta.
In chella piazza fermete a sentì 'a musica de 'a fontana che zampilla.
Ogni di' passi pe sta via e nun t'accorgi quanno 'e rondini giranno se danno 'na spinta
tra 'e case pe' gridatte er soffio de 'a Primmavera che te brilla.

E dunque dimme allora, pecchè si c'hai 'e gambre pe porta' l'occhi per monno,
si er respiro pòi affonna' co' l'aria fresca de li vicoli che fermeno 'a callaccia,
si de 'sti pizzi pòi gode' a mano libbera dar artista e li libbelli ne 'a statua sur tiranno,
te comporti comme l'immobil errante, incurante ne li sensi e grave affonno de barcaccia?


POESIA di Massimo Ballo, con un rispettoso pensiero a TRILUSSA.
Un semplice pensiero per per tutte le situazioni che generano sofferenza.
Un ammonimento all'indirizzo di quelle persone che improntano il loro vivere nel quotidiano distratto dei giorni.

Qualcuno ha bisogno di te: diventa donatore di sangue

venerdì 3 febbraio 2012

Neve a Roma, 3 febbraio 2012

'A ricchezza de li giorni mia

POESIA


'Na notte piena de 'mbrogli,
te giri e te rivvorti ne le coperte,
pecché 'n brivvido freddo lungo 'a schiena
te 'nduce a 'na prece pe' ave' 'na dormita saporita.

Giunge finarmente l'ora e er sole lissù.
Er sole se fa pe' di'! Pecché s'innasconne dimmido e
giuggiolone dietro 'sto muro de nuvole,
fitto fitto, bianco bianco.

M'avvicino pian pianino a'la finestra
pe' pia' visione der novo giorno.
Ma ndo' sta 'a strada sotto casa mia?
Chi s'è fregato er nasole gocciolante,
perenne amico der mi' dormi' pe' la ninna nanna?

Tutto bianco e tutto compatto! Nun v'è visione de li dettagli e de li colori.
S'innasconne er pittore de 'sta tela sbiadita,
bizzarro, pe' vede' 'o stupore de chelli
che c'hanno ancora l'occhi appiccicati de li sogni loro.

Er monno è cambiato troppo repentino! Me convinco subbito de sta' verità.
E mo' sorto o non sorto? Nun posso, me ce devo abbituà! Me riavvorto ne le coperte.
Me ficco ner letto ch'è er grembo de 'na mamma. E penso: Quant'è bella sta' vita mia.
Torna presto cardo sole, pecché nun lo sapevo ch'ero ricco de monotonia.


POESIA di Massimo Ballo, con un rispettoso pensiero a TRILUSSA.
La mia solidarietà per le Persone che hanno perduto la loro serenità, per degli eventi o delle notizie che trafiggono repentinamente la vita.
La felicità sta nella ricerca del valore di ciò che già abbiamo.

domenica 1 gennaio 2012

Roma al Tempo di Caravaggio 1600 - 1630

Mostra presso Palazzo Venezia
16 novembre 2011 - 05 febbraio 2012


E' una mostra di eccezionale interesse storico e artistico, con opere che provengono da chiese, mostre e collezioni anche internazionali. Esse ci portano al tempo di Caravaggio e degli artisti che lo hanno accompagnato e seguito, forse un po' offuscati dalla genialità del primo. Oppure di chi in qualche modo ne ha preso le distanze interpretative, come per la Madonna di Loreto, soggetto pittorico che nel Carracci si manifesterà attraverso un registro classicista, a differenza del Merisi, che invece prediligerà lo stile naturalistico. Questo confronto, che è possibile trovare già dall'avvio dell'esposizione, vale da solo la visita. Nel Carracci troviamo soggetti idealizzati e lontani dalla realtà. Nel Caravaggio vediamo una rappresentazione del sacro senza idealizzazione alcuna, facendo anzi del reale il momento dell'esaltazione. Non è sentito il bisogno di abbellire i soggetti, i quali vivono il quotidiano attraverso un contatto terreno, come viene spesso evidenziato dei piedi scalzi e consunti, scelti a simbolo di abnegazione. Colpiscono le dimensioni del bambino e il tenero abbraccio della Madonna, in posizione decentrata e modellata dalla luce in contrasto con l'oscurità.


- Madonna di Loreto -
Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio - Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo
Michelangelo Merisi - Annibale Carracci


Anche altre opere esposte hanno catturato la mia attenzione e trasmesso emozioni. In particolare:
  • "Angelo custode" di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino (conservato presso la chiesa di San Rufo a Rieti, fu già l’immagine simbolo della mostra 'I colori del buio'), per il senso di protezione trasmesso dall'Angelo sul fanciullo ai margini del baratro. Pur nella pochezza dei colori, l'immagine riesce a trasmettere dolci emozioni e serenità; 
  • "Santa Maria Maddalena e due angeli" di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino. Mentre il soggetto è in adorazione delle sacre reliquie della Passione, l'angelo con l'indice verso il cielo invita a cercare altrove la Verità.
  • "Madonna con il Bambino e sant'Anna" di Carlo Saraceni. In una ordinaria scena domestica, la Madonna e Sant'Anna si trovano in contrasto con la vivacità e la mobilità del Bambino, mentre questi stringe gli abiti della Santa, che ne afferra teneramente il braccino. La Madonna con silenziosa severità alza l'indice nell'intento di richiamarne l'attenzione. L'altra mano della Santa è nell'atto dinamico di portare al centro della scena una colomba, che agita l'altra ala libera dalla presa.


NOTE