giovedì 3 febbraio 2011

Marc Chagall a Roma

Alcune riflessioni personali rispetto all'Artista in questo periodo a Roma con alcune sue opere. Non sono uno storico, né un critico d'arte, come più volte precisato. Tuttavia, sono convinto che - fatta per correttezza questa precisazione - essendo l'arte Patrimonio di tutti, ognuno è nella facoltà di esercitare il diritto "inalienabile" di gioire attraverso le diverse espressioni artistiche. Nonché, di condividere con altri le proprie emozioni.
Ed è proprio in ragione di ciò che un giorno di febbraio chiedo di "staccarmi" un biglietto al museo dell'Ara Pacis, per ammirare le opere di Marc Chagall. Delle mie sensazioni ne ho fatto delle memorie, senza alcuna pretesa di attendibilità.
Non riporterò della sua vita: altre fonti ben più competenti sono preposte a ciò. Prima di ogni personale considerazione, va però tenuto conto che l'Autore nasce nel 1887 in Bielorussia, ovvero in territorio al tempo di sovranità dell'Impero Russo.
In generale la sua opera si contraddistingue per la costante assenza di legge di gravità. Spesso gli elementi ruotano di direzione e sfidano la fisica, violando la rappresentazione del quotidiano e del "normalmente" percepito. Gioca il pittore con gli spazi in assenza di confini. Quasi come costante, troviamo animali e fiori. Spesso tra i primi è presente il gallo, forse come simbolo di speranza e di rinascita.
Tra le immagini rovesciate troviamo i volti dei personaggi, quasi a voler comunicare che attraverso il cambio di prospettiva dello sguardo ci assicuriamo l'accesso ad aspetti nuovi del vivere.
I fattori che guidano le sue rappresentazioni sono di ordine religioso, quella ebraica la sua, e politico-sociale. E, pertanto, troviamo "La TORAH nella strada" e in "Le cinque candele" la presenza del candelabro. A volte assistiamo a gente errante, come se il continuo movimento costituisse riferimento alla propria religione e alla propria appartenenza. La partecipazione alla Rivoluzione d'Ottobre, poi, definisce un suo coinvolgimento politico-sociali del tempo.
Riporto, tra tutte, le opere che più mi hanno colpito lungo il percorso della mostra:
  • La slitta sulla neve (1944);
  • Paesaggio, dipinto a Cranberry Lake (1944);
  • La banchina di Bercy (1953);
  • Sirena e pesce (1967);
  • Ricordo de Il flauto magico (1976);
  • L'uomo con la testa rovesciata (1919), un olio su cartoncino rappresentativo dell'intera mostra;
  • nell'ambito della serie di illustrazioni dal titolo "Colui che parla senza dire nulla" (incisioni all'acquaforte e puntasecca), per la fusione in un solo corpo dell'uomo e della donna, la XV.
Mentre, sono rimasto deluso dal trittico con al centro la Crocefissione, che reputo "distante" dal resto delle sue creazioni.
Non nascondo che lungo il percorso della mostra, ho avuto spesso la sensazione di assistere a delle rappresentazioni di sogni. E in effetti sembra possibile una lettura psicologica della sua arte, azzardando un punto di contatto a distanza con gli studi di Freud, che ha portato al tempo alla pubblicazione de «L’interpretazione dei sogni». Questa dimensione notturna nella quale tutti ci immergiamo in piena libertà, spesso nella leggerezza delle azioni e scevra da vincoli del corpo, costituisce un flusso di comunicazione continuo e fantastico. Al punto che spesso ci rimane difficile raccoltarlo, mentre più semplice ci risulta una riproduzione figurativa.
Da qui un possibile viaggio nell'attività onirica lungo il filo conduttore delle sue opere, dove spesso è presente anche la luna.

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