sabato 19 marzo 2011

150° anniversario dell’unità d’Italia - Pagine di Pietra, i Dauni tra VII e VI secolo a.C.

Il 17 Marzo 1861 il primo Parlamento nazionale proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia «per grazia di Dio e volontà della nazione».
Quest'anno ricorre il 150° anniversario dell’unità d’Italia, con eventi e iniziative importanti e di sicuro interesse.

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. 
(La Costituzione della Repubblica Italiana. Art. 12)





La storia del Tricolore
Dobbiamo la nascita del tricolore alla Rivoluzione francese del 1789. Essa diventa il simbolo della Francia repubblicana, come espressione di libertà, uguaglianza e fraternità. Le armate francesi portano il tricolore in Europa, arrivando anche in Italia. Il generale Napoleone Bonaparte, seppur con forze costantemente inferiori di numero a quelle nemiche, conduce la campagna in qualità di comandante militare sbaragliando in diverse battaglie le truppe piemontesi e austriache.
"... che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre Colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti." E' questo un frammento di ciò che a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 il Parlamento della Repubblica Cisalpina stabilisce.
Le vittorie di Napoleone hanno importanti ripercussioni sulla politica della penisola italiana. Dopo il Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) la penisola italiana si trova quasi completamente sottoposta al controllo francese. Nascono le "Repubbliche sorelle", anche dette "giacobine", nome imposto dagli avversari. Bonaparte in questa occasione mette subito in mostra le abilità politiche, non inferiori a quelle militari. Nel dicembre 1796 viene creata la Repubblica cispadana in Emilia e Romagna. Nel giugno del 1797 è la volta della Repubblica ligure e - con i territori occupati della Lombardia - della Repubblica cisalpina, con la quale a luglio si fonde quella Cispadana.
Segue una seconda fase di interventi, che registra la proclamazione della Repubblica romana, che comporterà l'annessione del Lazio, dell'Umbria e delle Marche, e il trasferimento di Pio VI in Toscana; il quale in seguito verrà tratto prigioniero di Stato in Francia, dove morirà nel 1799.
Nel 1799 è la volta dell'Italia del Sud, con la sconfitta delle truppe borboniche, costrette a ripiegare in Sicilia, e la proclamazione della Repubblica partenopea.
All'entusiasmo diffuso degli eventi, segue ben presto la delusione di coloro che si illudevano dell'effettiva indipendenza delle Repubbliche italiane. Si palesano quasi subito le reali intenzioni di Napoleone, ovvero di mantenere il controllo dei territori conquistati. Chiare sono le indicazioni del Direttorio. L'Italia viene considerata occasione di scorreria e saccheggiamento. Le risorse servono al mantenimento dell'esercito e al risanamento delle finanze francesi. Gran parte del patrimonio artistico custodito nelle città italiane prende la via di Parigi.

Nel corso del Risorgimento la bandiera a tre colori appare anche nel Regno delle Due Sicilie con lo stemma reale e nel Granducato di Toscana. Nel 1848 anche Carlo Alberto di Savoia assegna per decreto il tricolore all'esercito piemontese, il quale porterà al centro anche lo scudo sabaudo. Questa sarà la bandiera dell'Italia fino al compimento ed epilogo del ventennio fascista. Con la caduta del regime e la fine della II Guerra Mondiale, la Repubblica italiana, nata dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, adotterà il tricolore privo dello stemma dei Savoia.
Il Tricolore, quello che oggi noi tutti conosciamo e riconosciamo come simbolo di identità e di appartenenza.


Roma, 17 marzo 2011

Il sentimento nazionale ha risposto con il tricolore alle finestre e ai balconi. Le famiglie nelle vie e nelle piazze. Area di festa e di partecipazione convinta.

Da segnalare per l'occasione l'interessantissima puntata di "Le Storie Diario italiano", su RAI 3 e condotta da Corrado Augias (Video Rai.TV - Le storie 2010-2011 - Le storie - Emilio Gentile), che ospita lo storico Emilio Gentile. Fanno riflettere i diversi temi trattati, con tipica varietà di angolazioni e differenti punti di vista.
Bellissimo è il passaggio del prof. Gentile che definisce la bandiera un simbolo, che come tale "tende a unire, tende a rappresentare in forma unitaria ciò che non si può certo rappresentare con tutte le singole individualità". Ne consegue che ogni atto contro la bandiera è un atto contro sè stessi.


Vittoriano a Piazza Venezia



Piazza Venezia.
Il Tricolore illumina il Vittoriano.










Colonna traiana



Colonna traiana, celebre monumento di Roma e simbolo delle nostre origini.














Tempio di Adriano



Tempio di Adriano, in piazza di Pietra.












L'antenna di Monte Mario



L'antenna di Monte Mario (Q. Trionfale) si veste col TRICOLORE










LE STELE DAUNIE


"Pagine di Pietra. I Dauni tra VII e VI secolo a.C.": mostra organizzata dalla Camera dei deputati nella Sala della Regina. Per pochi giorni di marzo (dal 2 al 18) e, quindi, nel periodo clou dei festeggiamenti del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, vengono esposte le Stele Daunie, provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia.

Le stele costituiscono una importante testimonianza di civiltà pre-romana vissuta nella parte settentrionale della Puglia. La Civiltà Dauna offre in quest'ottica un eccezionale tassello nell'opera di ricostruzione delle radici etnico-culturali più antiche dell'identità italica.




NOTE

  • Alberto Pellegrino, Le regole dello stare insieme. Cittadinanza e Costituzione. Bulgarini Ed. Firenze 2009
  • Sergio Zavoli, La storia e il suo racconto. Bompiani per la scuola. Milano 2004
  • A. Giardina, g. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di Storia. 2. L'età moderna. Ed. Laterza. Roma-Bari 1989

giovedì 3 marzo 2011

Fontana dei Dioscuri in Piazza del Quirinale

Quanto respiro in questa piazza, dove tutto è così ampio, così maestoso. Il fascino regale del Quirinale e la cupola di San Pietro sullo sfondo. Una piazza su un'altura come di vedetta. 
Siamo sul "colle" della nostra Repubblica. Dove l'acqua è sempre stata presente, anche prima della nascita di Roma.

E proprio dell'acqua ne ravvisiamo in questo luogo la sua rappresentazione, grazie alla fontana detta dei Dioscuri, così evidente nella piazza. Della cui fontana in passato si credeva che le due statue di Castore e Polluce fossero uscite dal genio dello scultore greco Fidia. Che tuttavia furono realizzate ad opera di un'artista dell'antica Roma, il quale ne creò per la città una mirabile copia.

Le due statue dei Dioscuri, ovvero fratelli di Elena, moglie di Menelao (che a causa della sua fuga d'amore con Paride ha causato la guerra di Troia) con a fianco i cavalli, si trovano qui sin dal 1588 per volere di papa Sisto V (1585-1590). Il quale incaricò Domenico Fontana di realizzare la sua unica fontana pubblica con al centro una vasca ottagonale.



L'alto obelisco ci riconduce agli Egiziani, con la loro religiosità spiccata e una quantità enorme di divinità. Dèi dalla forma umana, dèi in forma di animale e pietre divine che rappresentavano con alti pilastri il loro bisogno di unire il cielo con la terra, ovvero congiungere gli uomini e gli dèi.
L'obelisco della fontana è di granito rosso, con un'altezza di circa 29 metri se comprendiamo il basamento. Insieme al suo gemello, ora eretto sull'Esquilino, si trovavano ai lati del Mausoleo di Augusto (P.zza Augusto Imperatore).
Fu papa Pio VI (1755-1799) a disporre di farlo trasportare dal Campo Marzio, dove all'epoca era finito per trovarsi, in piazza del Quirinale. L'operazione - diretta dall'Architetto Antinori -  fu piuttosto complessa, soprattutto per la carenza di mezzi tecnici. Essa si concluse nel 1786. 


L'attuale conformazione della fontana però risale al 1818. Pio VII (1800-1823) ordinò la sostituzione della precedente vasca, di cui si è persa traccia, con la conca di granito circolare che ancora oggi è possibile ammirare.






Dioscuri al Campidoglio

Dioscuri: angolo stradale del Palazzo della Civilta, Roma EUR

Dioscuri: angolo scalinata del Palazzo della Civilta, Roma EUR



PROLEGOMENI

Castore e Polluce. Figli gemelli di Leda, moglie del re di Sparta Tindaro, sono fratelli di Clitennestra, regina di Micene, e di Elena. Sono conosciuti nella mitologia greca come “Dioscuri”, col significato di “figli di Zeus” (kouroi, cioè figli di Dias = Zeus) e, quindi, con riferimento alla loro origine semidivina. Sono presenti anche nella mitologia romana. Malgrado la loro origine divina, in molti racconti soltanto Polluce viene considerato immortale, mentre Castore mortale. Ciò in quanto solo il primo sarebbe concepito mentre Zeus assume le sembianze di un cigno per sedurre Leda, contrariamente a Castore che viene invece considerato figlio di Tindaro. Tuttavia, Castore si distingue nella corsa e sviluppa abilità di guerriero, mentre Polluce è più guidato dall'intelligenza, con capacità nel pugilato. Nel mondo romano sono onorati come protettori dei navigatori e dei guerrieri. 

Troviamo i due gemelli in molte imprese, tra le quali la liberazione della sorella Elena (la “bella Elena”), rapita - malgrado ancora molto giovane - da Teseo con l’aiuto del suo amico Piritoo, mentre si trova nel palazzo di suo padre, Tindareo, a Sparta. O mentre, secondo altre fonti, si trova nel tempio di Artemide Eretta per danzare. I due amici progettano di rapire insieme anche Persefone. 

I Dioscuri cercano la sorella rapita a lungo e per molti siti della Grecia. Solo Academo saprà dare loro le informazioni del giusto luogo dove si trova segregata la giovane donna, ovvero nella rocca di Afidna. I due eroi nel liberare la sorella applicano la regola del contappasso: rapiscono la madre di Teseo, che si trova lì in funzione di carceriera.

Sembra, peraltro che la liberazione di Elena avverrà soltanto dopo alcuni anni, tanto che durante il sequestro la stessa avrà modo di partorire una figlia, Ifigenia, che in seguito verrà attribuita alla sorella Clitennestra per convenienza, ovvero per permettere a Elena di essere considerata vergine a fini matrimoniali.

Castore, in quanto mortale, verrà ucciso da Ida. I due fratelli sono inseparabili a tal punto che Polluce non trova consolazione rispetto all’evento luttuoso. Per questo, chiede a Zeus di morire anche lui o in alternativa di concedere l'immortalità al fratello. Zeus esaudisce il desiderio ricongiungendoli per sempre, ma per metà del tempo agli Inferi e per metà con gli dei sull’Olimpo. Secondo un’altra leggenda, Castore e Polluce vengono invece trasformati da Zeus nella costellazione dei Gemelli.


Elena è ritenuta la donna più bella del mondo e numerosi saranno i suoi pretendenti. Tutti i capi Greci ambiranno alla sua mano quando giungerà in età da marito. Suo padre Tindaro, proprio in tale considerazione e nell’intento di evitare dispute e guerre, lascia a lei la decisione sulla scelta dello sposo, che cadrà su Menelao, re di Sparta. Prima di ciò tuttavia, sempre Tindaro, su consiglio di Ulisse che aspirava a Penelope, la figlia del fratello Icario, fa giurare i pretendenti che tutti avrebbero prestato il loro aiuto in caso di rapimento della sposa, a prescindere dall’effettivo verdetto (patto di solidarità). La sorella Clitennestra invece sposerà Agamennone, fratello di Menelao. 




Causa e pretesto della Guerra di Troia. 



Le cause storiche della guerra sono da ricondurre nella posizione dominante di Troia rispetto al passaggio nello stretto dei Dardanelli, al confine tra l’Asia Minore e l’Europa. Nel 1250 a.C. la potenza dei diversi re della civiltà micenea era tale che in coalizione decisero di attaccare Troia.


Peraltro, assai più romantico è il riferimento al mito: “Il pomo della discordia” e “Il rapimento di Elena”. Le leggende venivano cantate dagli aedi, cioè dai poeti ambulanti che recitavano i versi a memoria, forse anche improvvisando. Intorno al X secolo a.C. le gesta saranno raccolte nell’Iliade e nell’Odissea, poemi attribuiti a Omero.

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
L'ira funesta, che infiniti addusse
Lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
Generose travolse alme d'eroi,
E di cani e d'augelli orrido pasto
Lor salme abbandonò così di Giove
L'alto consiglio si adempia, da quando
Primamente disgiunse aspra contesa
Il re de' prodi Atrìde e il divo Achille.


La celebrazione delle nozze tra Teti e Peleo costituiva un fatto davvero insolito. Inusuale infatti era che una Dea immortale si unisse ad un mortale. Tuttavia, era questo il volere di Zeus, il quale in verità aveva provato a unirsi a lei, ma la profezia di Prometeo, secondo la quale dall’unione sarebbe nato un figlio più potente del padre, lo aveva spaventato a tal punto che ordinò che lei sposasse un mortale.
Il destino si compì nel momento in cui Peleo si accoppiò con Teti, si può dire giocando di sorpresa e nonostante le di lei energiche resistenze. La strinse tra le sue braccia e a nulla valsero le molteplici trasformazione di cui Teti era capace. Il matrimonio a questo punto fu la logica conseguenza. Il quale fu organizzato invitando tutti tranne Eris, la Dea della Discordia. La quale però per vendetta si presentò lo stesso al matrimonio, lanciando proprio sul tavolo di Zeus, tra lo stupore dei convitati al matrimonio, il "pomo della discordia", ovvero una mela d'oro con la scritta "alla più bella". Tra le tre dee Era, Atena e Afrodite si accese una discussione molto accesa, dato che ognuna di esse riteneva di averne diritto, rivendicando il titolo della più bella. Allorché, per superare il dissidio si accordarono a che fosse Zeus a giudicare. Ma date le circostanze, questi - consigliato da Temi, la Dea della Saggezza - ritenne inopportuno dare delle definizioni, togliendosi così dall’impaccio di una situazione assai scomoda. Decise quindi di affidare a Paride, figlio del re di Troia Priamo, il compito di attribuire il frutto alla più meritevole. Che fu prontamente raggiunto sul monte Ida, nella Frigia, dalle tre Dee accompagnate da Ermes. 


Paride era figlio di Priamo ed Ecuba e per fratelli aveva Ettore, Cassandra, Polissene, Troilo e Deifobo. Che Paride-Alessandro (perché, quest’ultimo in verità fu il nome assegnatogli dalla nascita) sarebbe stato motivo di sventure, fu preannunciato dal sogno fatto dalla madre Ecuba la notte prima della sua nascita. Sognò infatti di partorire una fiaccola che metteva in fiamme Troia. Tant’è che il padre Priamo lo affidò ad Agelao, il suo contadino di fiducia, affinchè lo abbandonasse sul monte Ida, destinandolo a morte certa. Cosa che non avvenne, dato che Agelao, tornato dopo alcuni giorni sul luogo dove ebbe abbandonato il neonato, trovò Paride-Alessandro ancora in vita, tra le tenere cure di un’orsa. Ciò spinse il contadino a portarlo seco e a crescere il pargolo.


Alla vista delle divinità, Paride si spaventò. Ma le rassicurazioni di Ermes, le lusinghe dei doni e la bellezza delle tre dee lo tranquillizzarono. Tra le altre, Afrodite gli assicurò la conquista della donna più bella del mondo e fu proprio questo a convincerlo nella consegna della mela ad Afrodite stessa, dea dell'amore. Paride si assicurò così l'amore della bella Elena, moglie di Menelao re di Sparta. Con i favori della dea, si recò a palazzo. Rapì Elena, che venne condotta a Troia.

Per vendicare il rapimento di Elena, Menelao e suo fratello Agamennone, re di Micene, organizzarono una spedizione contro Troia chiedendo aiuto a tutti i partecipanti al patto di Tindaro (patto di solidarità). Nella spedizione venne impiegato un forte esercito e molte furono le navi in partenza alla volta di Troia. Parteciparono i più valenti guerrieri greci, tra i quali Achille, Patroclo, Aiace d'Oileo e Aiace Telamonio, Nestore, Ulisse e Diomede.
L’esercito dei Greci - gli Achei di Omero - assediò Troia per nove anni.


Elena e il personaggio 
(n.d.r.)

La bellezza e la seduzione di Elena saranno causa di lutti e sofferenze. Ma lei ne sembra distaccata, quasi incolpevole. Si direbbe finanche tragico il suo destino: elevata quasi ad archetipo di bellezza, ma racchiusa nel mito della distruzione. Le ragioni della guerra di Troia sono da ricondursi a fatti attribuibili a lei solo attraverso una catena di eventi piuttosto lunga. Tuttavia, le sue movenze e il suo fascino sembrano rappresentare l’inconsapevolezza delle azioni, determinate da un destino beffardo che tanta bellezza le ha tributato, ma tante morti mieterà nel corso dell’esistenza. 
Un motivo epico e antico, ma così attuale. La linea è labile, la divisione non è netta tra Eros involontario e Thanatos giustiziere. E’ il fato o la volontà. Il destino è forse la scelta di una sola perla di una lunga collana. 
Del resto persistono dubbi sul fatto se il suo sia stato un effettivo ratto o se ci sia stata piuttosto una compartecipazione nell’operazione, dato che ella ebbe tempo e premura di portare con sé le schiave al servizio e l’argenteria. 
Omero nell’Odissea ci narra del comportamento di Elena nei pressi del cavallo, al quale si avvicinò imitando le voci degli eroi che si trovavano all’interno. Di seguito le parole di Menelao, mentre le lo rammenta:

Sospinta, io credo, da un avverso nume,
Cui la gloria de’ Teucri a core stava,
Là tu giungesti, e uguale a un dio nel volto
Su l’orme tue Deïfobo venìa.
Ben tre fiate al cavo agguato intorno
T’aggirasti; e il palpavi, e a nome i primi
Chiamavi degli Achei, contraffacendo
Delle lor donne le diverse voci.
Nel mezzo assisi io, Diomede e Ulisse
Chiamar ci udimmo; e il buon Tidìde ed io
Ci alzammo, e di scoppiar fuor del cavallo,
O dar risposta dal profondo ventre,
Ambo presti eravam: ma nol permise,
E, benché ardenti, ci contenne Ulisse.
(Omero, Odissea IV, 351 segg.)


Tu allora venisti là: deve averti incitata
un dio, che voleva dare gloria ai Troiani;
e venendo ti seguiva Deìfobo simile a un dio.
Tre volte girasti, tastandolo, intorno al cavo agguato
e chiamavi per nome i migliori dei Danai
imitando la voce delle mogli di tutti gli Argivi:
ed io e il Tidide e il chiaro Odisseo
seduti tra essi sentimmo come gridavi.
Noi dunque balzammo smaniosi entrambi
di uscire o ripsondere senza indugio da dentro:
ma Odisseo l’impedì e di trattene, per quanto bramosi.
(Omero, Odissea IV, Traduzione di G. Aurelio Privitera, 274 segg)


Lusinghe e tentazioni che ritroveremo nelle sirene. Ulisse ascolterà il loro soave canto stando ben legato all’albero maestro della nave.

“Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,
e ferma la nave, perchè di noi due possa udire la voce.


(...)”

Così dissero, cantando con bella voce: e il mio cuore
voleva ascoltare e ordinai ai compagni di sciogliermi,
facendo segno cogli occhi: ma essi curvi remavano.
(Omero, Odissea XII, Traduzione di G. Aurelio Privitera, 184 segg)


Affido la chiusura al Maestro Trilussa.


L'OMO FINTO
Dice che un giorno un Passero innocente 
giranno intorno a un vecchio Spauracchio 
lo prese per un Omo veramente; 
e disse: - Finarmente 
potrò conosce a fonno 
er padrone der monno! - 
Je beccò la capoccia, ma s'accorse 
ch'era piena de stracci e de giornali. 
Questi - pensò - saranno l'ideali, 
le convinzioni, forse: 
o li ricordi de le cose vecchie 
che se ficca nell'occhi e ne l'orecchie. 
Vedemo un po' che diavolo cià in core... 
Uh! quanta paja! Apposta pija foco 
per così poco, quanno fa l'amore! 
(...)

Trilussa

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NOTE
  • Salvatore Spoto, Le fontane, Edizioni Coralli, Roma 2010;
  • Vittoria Calvani, Quadri di civiltà, Arnoldo Mondadori, Firenze 2000;
  • Marilena Karabatea, Mitologia Greca, Adan-Pergamos, Peania-Attica;
  • Luciano De Crescenzo, I grandi Miti Greci, Mondadori, Milano 1999;
  • Trilussa, Cento favole, Mondadori, Milano 1995.